In moto sull’Himalaya
Sembra il titolo di un film, invece è quello che hanno fatto realmente Salvo Pennisi e Vincenzo Bonaccorsi, entrambi del Dipartimento Testing Moto della Pirelli. In sella a due Royal Enfield Himalayan, hanno conquistato il Khardung La, che con i suoi 5359 metri è stato a lungo considerato il passo rotabile più alto del mondo
“La cosa è nata quasi per gioco -ci dice al telefono Salvo Pennisi, Direttore Testing e Technical Relation della Divisione Moto di Pirelli–. Avevamo già fatto il vulcano Nevado Ojos de Salado in Cile quest’anno, arrivando con l’Honda Africa Twin a 5965 metri. Questa volta ci trovavamo in India per lavorare con la Royal Enfield, e volevamo festeggiare il primo anno di fornitura gomme in primo equipaggiamento con una bella iniziativa. Così ci siamo inventati questa nuova avventura. In fin dei conti, dopo aver fatto il Fuji, il Sani Pass nel Lesotho e il vulcano cileno che è il più alto del mondo, ci mancava l’Himalaya”.
Vincenzo Bonaccorsi, che nella vita è il collaudatore responsabile per i progetti di primo equipaggiamento dell’Area Asia-Pacific, è stato il compagno d’avventura di Pennisi. Entrambi in sella ovviamente a una Royal Enfield Himalayan, ovviamente con pneumatici Pirelli MT 60™.
Il Khardung La si trova nella regione di Ladakh, in India, a nord di Leh, ed è considerato la porta d’ingresso alle valli Shyok e Nubra.
Partiti dalla cittadina di Manali alle ore 12.00 di giovedì 28 settembre, i due motociclisti hanno superato un percorso di avvicinamento di 500 chilometri in 2 giorni, valicando 4 passi di minore altezza: il Rohtang (3956 metri s.l.m), il Nakeela (4711 metri s.l.m), il Lachungla (5035 metri s.l.m) e il Kangla Jal (4878 metri s.l.m). Alle 12.16 di sabato 30 settembre erano sul mitico Kardhung La.
“Tecnicamente devo dire che non si è trattato di un’ascesa difficile -continua Pennisi-, perché la salita è morbida e guidabile. Però sono state molto impegnative le strade, perché sono strettissime e c’è un gran traffico di camion, soprattutto militari, che guidano velocissimi. Ecco, questo è stato un aspetto importante, ha richiesto molta concentrazione. E un grande uso del clacson: prima di ogni curva bisogna suonare, perché i guidatori indiani sono veramente imprevedibili”.
Qual è la cosa che ti ha colpito di più?
“Quando si sale in montagna lasciano stupefatti i piccoli villaggi che si incontrano. Ci si chiede come facciano ad affrontare la sfida quotidiana a una natura che può essere così ostile. Ma anche l’accoglienza calda che ci hanno riservato ovunque. E poi il fatto che siamo tornati a un motociclismo pionieristico con questa avventura. Quando sei lì devi sapertela cavare, e farti autonomamente le riparazioni della moto che si dovessero rendere necessarie“.
“In città invece l’India è un paese dai fortissimi contrasti sociali. Le realtà industriali che abbiamo visto sono avanzatissime e inimmaginabili. E abbiamo incontrato tecnici e ingegneri di primo livello, che lavorano magari insieme a cervelli europei. C’è una strategia di crescita ben definita e invidiabile. Poi però esci, fai 3 chilometri e ti ritrovi in una realtà terribile di estrema povertà. Motociclisticamente parlando comunque, l’India oggi è un’enorme opportunità”.
L’altitudine si sente? E come avete preparato questa avventura?
“Ovviamente la quota si fa sentire, e pensare di fare anche solo due passi di corsa a 5mila metri è un’impresa. Noi avevamo già fatto un training presso il Centro di Medicina Aerospaziale dell’Aeronautica Militare, a Pratica di Mare, vicino Roma, prima del Cile. Ma lì si trattava di salire a 6000 metri in 24 ore. Qui l’avvicinamento era più graduale, quindi anche meno problematico. Comunque abbiamo seguito i consueti protocolli. A cominciare da un farmaco diuretico specifico, che ha la peculiarità di acidificare il sangue, massimizzando il trasporto di ossigeno. La diuresi poi aiuta a prevenire il rischio di edema polmonare. Quindi bevevamo tantissimo: almeno 5 litri di acqua al giorno. Con il risvolto che dovevamo anche fermarci spesso per esigenze fisiologiche”.
L’avventura più curiosa?
“Non è avvenuta in strada, ma in aeroporto a Delhi. Il mio collega è stato fermato per possesso di telefono satellitare. Non lo sapevamo, ma in India ne è proibito il possesso per motivi di lotta al terrorismo. L’episodio è avvenuto all’1 di notte, e dobbiamo ringraziare la nostra ambasciata che è intervenuta immediatamente. In 5 ore Vincenzo è stato giudicato per direttissima e condannato a un mese di carcere, convertibile in una multa equivalente a… 15 euro. Il telefono satellitare però gli è stato confiscato”.
A questo punto, qual è la prossima avventura?
“Ho ritegno a dirlo, ma ci manca il Kilimangiaro”.